Nightguide intervista Kassie Afò

Nightguide intervista Kassie Afò


Kassie Afò, all'anagrafe Giulio Tosatti, è un nome meticcio per un artista che ha fatto del mondo la sua casa: il  primo EP, Kassie Afò, è stato realizzato insieme a Saret, che presta la voce in tutti e cinque i pezzi. Abbiamo parlato con lui del disco e delle sue influenze.


Il tuo EP è ormai uscito da un mese: come sta andando, e sei felice del risultato? 
Sta avendo ottime valutazioni dalla stampa italiana e di questo sono molto contento, anche se non vedo l'ora di avere un feedback internazionale! L'ufficio stampa Rouge Promo e l'etichetta Junkfish Records mi stanno dando un grande aiuto, ma sto imparando solo ora come muoversi e farsi conoscere e per farlo ci vuole tanto lavoro, tanta pazienza e un sacco di fede in quello che si sta facendo.
Per ora sono entusiasta e non vedo l'ora che inizino i Live, che saranno fondamentali per promuovere l'EP e la mia musica!


Hai scelto il nome di un ritmo malinke e un'incitazione come nome d'arte: come mai?
In quanto percussionista io sono il ritmo nella musica, il mio approccio alla creazione musicale è ritmico e l'Africa per me è la madre e l'origine del ritmo puro, quindi mi sembrava decisamente appropriato avere il nome di un ritmo malinke: “kassie”. L'incitazione Afò (Dillo!, Suonalo!) si riferisce ad essere sempre attivi e costruttivi durante la propria esistenza. A spronare e spronarsi, a vivere davvero e a prendere parte attivamente della propria vita e delle proprie scelte e a farlo sempre in modo positivo. E poi, a dirla tutta, mi suonava bene il nome.. 


Hai studiato la musica cubana a cuba e i ritmi africani in Senegal, ma cosa ti hanno lasciato addosso quei paesi, a parte la conoscenza musicale?
Tantissime cose, tantissime sensazioni, spunti di riflessione, emozioni, pensieri, e una fortissima carica energetica. Ho passato i due capodanni probabilmente più intensi della mia vita li.
Uno nelle strade dell'Havana Vieja, tra soundsystem sfasciati e un sacco di alcool, e l'altro in un villaggio nel deserto, dove la scuola ha solo due mura, l'alcool non esiste e si balla mbalax e sabar (generi musicali tipici senegalesi) con vestiti tradizionali. Ci si rende conto dell'importanza e della consapevolezza della propria storia e dell'importanza di sapere chi si è e da dove si viene.Ci si rende conto che come una un popolo vive, in quel modo poi suona e ascolta. La musica, il ballo, il canto diventano un fortissimo e sempre presente elemento aggregante e sono “condivisione”.
Ognuno di questi due paesi ha il proprio stile, il proprio modo di fare molto autentico. Sono due posti dove si vive alla giornata, dove si ha poco ma si tira fuori molto da ciascun individuo, e ognuno cerca di arrangiarsi come può, ingegnandosi e improvvisando. Ho notato che questo modo di vivere porta a sviluppare un forte senso di appartenenza, di amore e di orgoglio della propria terra, della propria cultura e tradizione. In una società come la nostra faccio fatica a percepirlo.
Dall'altro lato è una vita difficile: senza garanzie, senza poter fare progetti e spesso senza poter contare su sanità e istruzione. In ogni modo come noi qui ci lamentiamo dei nostri problemi, loro dall'altra parte del mondo si lamentano dei loro. Il giusto immagino sia godere di quello che si ha, avere equilibrio e stare nel mezzo, noi dovremmo avere un pò meno e loro un pò di più. Alla radice credo che ci sia anche un'ingiustizia storica. 


In un momento in cui aver paura delle persone che vengono da altri luoghi va quasi di moda, quanto è necessaria la musica contaminata per riavvicinare la gente a quello che non conosce, e convincerla che non c'è niente da temere?
La musica certamente spalanca un canale di comunicazione e di contatto tra culture. Possiamo imparare tante cose dagli altri popoli e questo al tempo stesso ci porta a riflettere sul nostro. Così come il fondere vari generi musicali tra loro fa evolvere la musica e la rende più dinamica e attuale, ugualmente il contaminarsi di popoli e di culture fa lo stesso per l'umanità. Dietro a ogni ritmo c'è una storia, un significato, un'attitudine e il carattere proprio della gente che lo suona e lo balla. Si può scoprire molto di una nazione dalla sua musica.Quello che è strano o diverso per noi è normale da un'altra parte del mondo e viceversa. Per me ciò che è diverso è bello e fonte di curiosità, arricchisce, perchè porta a capire un po' di più della gente e quindi del mondo. Così facendo io mi sento più completo, più pieno e più sereno. L'importante è sempre aprirsi e non aver paura di ciò che è nuovo o diverso. 


C'è un tour in arrivo?
Stiamo lavorando per trovare date e organizzarlo, niente ancora sulla carta, ma spero davvero che a breve inizino i Live. In questo momento sono al lavoro per costruire il live-set e creare materiale da dare ai promoter delle agenzie booking.


Come è nata la collaborazione con Saret?
E' iniziata con i Pop James, gruppo di cui facevo parte. Inizialmente Saret sostituì per il tour estivo il cantante Riccardo Milo, che aveva lasciato la band. Il gruppo per vari motivi nell'arco di un anno si è sciolto. Ciascuno prese la sua strada e rimanemmo io e lei. Per un po' abbiamo proseguito insieme poi ho deciso di occuparmi totalmente delle produzioni e fare featuring con più musicisti. Per questo primo EP abbiamo deciso di tenere la bellissima voce di Saret. 


Quali sono i tuoi 3 dischi preferiti, quelli che non possono mancare nella tua collezione?
Sono davvero onnivoro di musica..davvero infinita scelta, ma senza pensarci troppo ti direi “Rumba de la isla” di Pedrito Martinez e “SBTRKT” di SBTRKT. E..l'ultimo è difficile! La scelta è infinita.. forse direi Drukqs di Aphex Twin...è stato molto significativo, quando l'ho ascoltato sono rimasto sconvolto. Mi catapultò nello sconfinato mondo di possibilità della musica elettronica, un'esperienza fortissima!

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