Live Report SLEAFORD MODS @ INIT - ROMA 04/05/2015

Live Report SLEAFORD MODS @ INIT - ROMA 04/05/2015

L'Inghilterra è una nazione bizzarra, ed al contempo meravigliosa: conservatrice e borghese sul fronte Buckingham Palace ed avversità all'Eurozona / marcia e riottosa su quello di una classe operaia avvilita, e di culture underground che nascono e si rinnovano di decennio in decennio.
L'Inghilterra non è Londra, il lavoro patinato nella City e la foto a Camden Town (che, ragazzi, ha smesso di essere punk all'incirca quando le Dr. Martens e le Fred Perry, da codice d'abbigliamento skinhead, son diventate beni di consumo). L'Inghilterra cruda è quella dei pubs, dei ragazzotti rossi in viso ed ubriachi di birra alle cinque p.m., che staccano da lavori di manovalanza riversandosi nelle strade di cittadine immerse nel verde, e nell'assenza di opportunità.
La cinematografia, la musica, l'iconografia sono maestre: "Hooligans", "This is England", "Trainspotting" (ambientato più precisamente ad Edimburgo, ma calzante per analogia nella descrizione di cui sopra), Johnny Rotten dei Sex Pistols, George Best, Joe Strummer, o ancora lo sketch dei Monthy Python nel film "The Meaning of Life", in cui il proletariato di bassa levatura scolastica abita sobborghi murati e sovraffollati - vedi anche: Pink Floyd, The Wall.
L'atmosfera di Nottingham si è trasferita a Roma per una notte, in occasione della terza ed ultima data italiana degli Sleaford Mods (prima a Milano e poi a Bologna), nella cornice dell'Init di via Casilina Vecchia.
Il pubblico è numeroso e variegato, riconoscibilmente d'appartenenza alla fascia d'età over 30 e 40, di sicuro appassionato alle liriche aggressive, socialmente impegnate e critiche del leader e vocalist Jason Williamson, l'uomo dall'accento brit più bello dopo Damon Albarn dei Blur.
Il live inizia puntuale alle 22:45, si concluderà intorno alla mezzanotte. Gli Sleaford Mods, come è semplice intuire da qualsiasi immagine, o dalla copertina dell'ultimo album Divide and Exit, sono un duo: Williamson, già citato, ed il dj e producer Andrew Fearn. Tale figura astratta sarà esilarante e scenografica nel corso del concerto, in quanto completamente superflua. Non fa nulla sul palco, non agisce o si cimenta in nient'altro che bere una birra da 66cl. dopo l'altra, sapientemente distribuite in una cassa alla sua destra, e premere play sulla tastiera di un Macbook per avviare i beat pre-registrati sui quali Jason andrà a cantare.
La scaletta è ricchissima e non ammette deconcentrazione, i pezzi si susseguono veloci in un crescendo di calore -umano oltre che emotivo, dentro l'Init si soffre la temperatura-, senza, tuttavia, che si scateni un pogo quanto mai doveroso su brani potenti come Jolly Fucker, Tied Up In Nottz, o Jobseeker, che pure vengono intonati in coro. C'è il punk, c'è l'hip hop; più elementi combinati che catalizzano lo sguardo su questi due balordi, che non è azzardato definire geniali.
Jason è velocissimo nello spoken, agita la mano destra dietro la testa ad ogni strofa, sfoggia passi di danza femminili e pose provocanti verso la folla: è dissacrante ed ironico, privo di virtuosismi, diretto al punto. Saluta i presenti, ringrazia contento. Si infastidisce per l'uso della macchina del fumo, avvicinandosi ad essa brandendo minaccioso la bottiglia d'acqua che gli occorre per sopravvivere, e scalciando contro l'aria.
Incantevole, uno spettacolo incantevole ed onesto, l'essenza di un uomo che fa e dice quello che gli pare. Avesse sputato saliva sulla folla, gliene saremmo stati grati ed euforici.
Gioia nell'ascoltare anche pezzi inediti (Live Tonight, Bronx in a Six, Tarentula Deadly Cargo), e chiusura perfetta della cerimonia con tre brani per il bis, di cui ultimo è l'infiammato Donkey, dal disco del 2013 Austerity Dogs.
Un concerto incredibile, surreale: conclusosi forse anche troppo presto, è stato triste allontanarsi, quando non ci si sarebbe staccati mai dal fissare il microfono su cui le parole si sono rincorse. Punk's not dead.
 
Laura Caprino

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