NIGHTGUIDE INTERVISTA GLI INUDE: IL NORD EUROPA CHE PARTE DAL SALENTO

NIGHTGUIDE INTERVISTA GLI INUDE: IL NORD EUROPA CHE PARTE DAL SALENTO

Clara Tesla è il nuovo album degli Inude, trio electro-soul (ma vedremo in seguito che le categorie non gli si addicono) pugliese che ricorda gente come Bon Iver o i Sigur Ros, già anticipato da piccoli gioiellini come Balloon, Shadow Of A Gun, Sleep, By The Ocean e So Easy.
Uscito il 5 dicembre per Oyez Srl, ha già raccolto numerosi apprezzamenti di critica, e noi non possiamo che essere concordi nel dire che il trio composto da Flavio Paglialunga, Giacomo Greco e Francesco Bove rappresenta a oggi una realtà musicale che fa ben sperare per la nuova generazione di artisti nati su suolo italico, benché di influenze italiane in senso stretto abbiano ben poco.
Influenze nordiche, suoni caldi, un album che si lascia ascoltare e ti avvolge con le sensazioni di un abbraccio sicuro da cui farsi coccolare, un viaggio ipergalattico che atterra poi prepotentemente quando in scena entrano gli strumenti “veri”, le chitarre e le batterie.
 
Gli Inude sono una nostra vecchia e gradita conoscenza, per cui ci abbiamo piacevolmente scambiato qualche riflessione sull'uscita di Clara Tesla. E, considerato che non possiamo propriamente chiamarla intervista ma più correttamente flusso di coscienza telefonico, indicheremo di seguito con L. gli interventi del nostro direttore Luigi Rizzo e con I. quelli degli Inude.
 
L. Introduceteci “Clara Tesla”: cosa dobbiamo aspettarci questa volta dal vostro nuovo lavoro?
I. Rispetto al precedente che era un ep (Love Is In The Eyes Of The Animals del 2016 n.d.r.) è un lavoro più completo, è un disco di 9 tracce. Ci abbiamo lavorato due anni, ed è nato da un ritiro spirituale e fisico, che ha fatto sì che questo fosse un album quindi più introverso, introspettivo, caldo, da ascoltare meglio in inverno suppongo, di fronte al fuoco di un camino.
 
L. Con il primo ep avete alzato molto l'asticella e vi siete fatti notare subito. Immagino che l'attesa della nuova uscita da parte vostra sia stata vissuta con ansia, per vedere se è stata accolta dalla critica allo stesso modo.
I. Siamo incuriositi più che altro, i quattro singoli che abbiamo fatto uscire prima del disco sono serviti a tastare il terreno per vedere dopo due anni di assenza cosa avremmo ritrovato al ritorno, che tipo di accoglienza ci avrebbe riservato chi ci ascolta.
Clara Tesla è un album che va valutato nel complesso, estrapolare singoli è come tagliare come una forbice, l'album può dare sensazioni diverse e siamo curiosi di capire cosa penserà che ci ha sempre ascoltato e cosa può pensare chi invece ancora non ci conosce.
 
L. È un po' caratteristica comune del genere di musica cui vi ispirate concepire degli album che siano “concept”, con un ascolto completo dalla prima all'ultima canzone, come se si trattasse della versione moderna della musica classica.
I. È una cosa che penso spesso ma non dico mai.
 
L. E aggiungo, secondo me gli album di musica elettronica vanno intesi come delle opere, non come degli album!
I. Qui c'è un problema di fondo: in generale è sbagliato intendere questo album come un album di musica elettronica. Quando si parla di musica elettronica si dice tutto e non si dice niente, esattamente come quando si cerca di definire la musica rock. Si rientra in una fascia troppo ampia. Per esempio noi ad album chiuso e finito non ci rivediamo all'interno dell'”insieme” musica elettronica, per quanto l'utilizzo delle macchine e dei sinth sia mutuato proprio da lì, ma per il resto la tipologia di scrittura non è tipica della musica elettronica. Ci sono ritmiche diverse, ci trovi soul, pop, blues su alcuni elementi. Come sempre abbiamo fatto quello che ci veniva in mente senza stare a definire il tutto. Mi piacerebbe non fosse definita elettronica perché alcuni potrebbero essere prevenuti dal pensiero di ritrovarsi di fronte ad un album di musica da ballo.
 
L. Certamente è così, ma bisogna riconosce che oggi la musica è diventata fluida, con all'interno tante sonorità e tanti spunti tali da diventare più difficile dare una definizione. Per comodità la chiamiamo elettronica per via degli strumenti.
I. In alternativa dovremmo dargli un'etichetta finita, con un mix di sette o otto generi generi! Elettronica va bene se non la intendiamo come musica da ballo o prettamente elettronica, perché è pieno di strumenti organici suonati, di batterie e chitarre.
 
L. Come è successo in passato,  si troverà la definizione di un tipo di musica sperimentale come la vostra tra qualche decennio, quando ormai sperimentale non lo sarà più.  Quando vi ho conosciuto vi ho paragonato in particolare ai Sigur Ros, li avevo appena visti live e il paragone mi venne spontaneo. Probabilmente il problema del nome del genere è prettamente italiano. Se nel Nord Europa lo definite “electronic music” non viene assolutamente frainteso. All'epoca eravate ancora più agli albori, ancora più strani, ancora più “ma chi cazzo sono questi”. Cosa è cambiato in questi 5 anni? È diverso oggi proporre il vostro lavoro?
Io penso che abbia acquisito una sua collocabilità, ma nel frattempo è cambiato tutto, in peggio. In questo periodo storico in Italia è difficile trovare spazio per questo tipo di lavoro. È da due anni che ascoltiamo la stessa canzone con voci di persone diverse. Ci piace (agli italiani) tanto questa cosa. Credo che la nostra sia una tipologia di album complessa e questo periodo probabilmente non è il periodo perfetto per noi, ma nonostante questo continuiamo a fare quello che ci pare.
 
L. Se fosse stato il periodo giusto, non sareste stati degli innovatori.
I. No, assolutamente, non ci sentiamo di prenderci il peso della parola “innovare”, perché innovare è un'altra cosa. Magari andiamo contro tendenza, cerchiamo di spingere chi ci segue verso nuovi orizzonti, ascolti diversi rispetto a quelli a cui siamo abituati, sottolineo, in Italia.
 
L. E in questi cinque anni, quali sono stati il momento più alto e quello più basso che avete vissuto?
I. Il momento più alto è arrivato senz'altro quando abbiamo concluso il disco perché le aspettative erano altissime. Poi le dinamiche che portano all'uscita, le tempistiche di pubblicazione sono diverse ed è lì che diventa più stressante, ma sicuramente non più “basso” nell'accezione più negativa del termine. Per il resto siamo sempre stati con il morale alto perché siamo soddisfatti di quello che alla fine è venuto fuori.
 
L. C'è stato un upgrade costante dei posti in cui suonate, della critica che parla di voi, siete passati dall'anonimato ad avere un posto ben chiaro nel panorama musicale.
I. Ne siamo consapevoli, anche se forse non ci basta mai. Ci piacerebbe sempre andare avanti e mai poggiarci su questo “posticino” che ci siamo presi. Lo prendiamo come un punto di partenza per proseguire questo percorso.
 
L. Dal punto di vista live cosa ci aspetta nel nuovo anno? Bolle qualcosa in pentola per l'estero?
I. Il live in generale sarà diverso rispetto a quello del vecchio tour, con derive molto più strumentali che cercheranno di massimizzare quello che volevamo comunicare nel disco. Il live è diverso rispetto al lavoro in studio, le intenzioni dei pezzi nei live vengono fuori in maniera diversa. Il disco è più riflessivo, il live sarà più tosto: abbiamo cercato di spingere e aggiungere implementando un quarto elemento che è la batteria e che darà una bella spinta a livello di percussioni.
Per l'estero ci stiamo muovendo, probabilmente saremo presenti in qualche showcase ma non abbiamo nulla di confermato.
 
L. Avete mai pensato di trasferirvi?
I. è una cosa che abbiamo in mente già da tempo, e lo stiamo pianificando per gli anni a venire. Il nuovo punto di partenza sarà sempre l'Italia, ma adesso che ci mettiamo di nuovo in movimento le prospettive sono quelle di andare a vivere fuori in maniera stabile.
 
L. Anche perché ci sono posti fuori dall'Italia che sono molto più favorevoli allo sviluppo della vostra musica, che poi sarebbe ancora più figa da riportare in Italia. Non sarebbe una “fuga” ma un modo per cercare nuove spinte e nuova ispirazione in un ambiente sociale e musicale più consono.
I. Esatto, e bisogna anche considerare la possibilità di entrare a far parte di un giro di musicisti diverso rispetto a quello italiano, magari in maniera diretta. Se sei a Berlino è più facile incrociare per strada, per esempio, Apparat che sta facendo una passeggiata.
 
L. Voglio chiudere l'intervista con due domande che faccio sempre. La prima è: pensando esattamente a questa fase, come definireste la musica usando tre parole per dirci cos'è nella vostra vita?
I. Facciamo una parola a testa: per Giacomo sicuramente mission! Per Flavio necessità. Per Francesco: quando riuscirò a fare una canzone che mi permetterà di vedere qualcuno che la ascolta emozionarsi e piangere di fronte a me avrò finito e potrò passare a fare altro perché in quel momento avrò trovato il quinto senso, avrò trovato l'umami del suono!
 
L. L'ultima, la più difficile, pensando al vostro percorso: quali sono i tre album che mai potrebbero mancare nella vostra collezione?
I. Per Francesco Ok Computer dei Radiohead. Anime Salve di De Andrè per Flavio. Sicuramente The Devil's Walk di Apparat per Giacomo.
 
Dimenticavamo...prima di lasciarci, date un occhio a questa meraviglia!
 

 
- Shadow of a gun - videoclip by Acquasintetica.
 
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Instagram - https://www.instagram.com/inude_music
 
 
Intervista a cura di Luigi Rizzo
Copyright a cura di Angela De Simone

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