Vi racconto il Vasto Siren Festival – DAY ONE -  24/07/2015

Vi racconto il Vasto Siren Festival – DAY ONE - 24/07/2015

Aveva ragione Rolling Stone, l'edizione italiana della celebre rivista musicale ha inserito (mesi prima dell'evento) il Vasto Siren Festival tra i 10 festival da non perdere quest'estate e non si sbagliava per niente. A chi se l'è perso invece, consiglio di consolarsi con questo che non sarà un breve riassunto.
 
Dopo aver ascoltato Gareth Dickson e le dolci note del suo nuovo album The Invisible String nella cattedrale di San Giuseppe la sera del 23 Luglio, come anteprima del Siren, e dopo aver passato il pomeriggio del 24 al mare con la Sunset Session al Lido Sabbia D'Oro di Vasto Marina ecco che ci addentriamo nel Festival.
 
Verso le 19 saliamo a Vasto e, passati i dovuti sbarramenti d'entrata, ci si presenta davanti Piazza del Popolo, in fondo alla discesa, un grande palco, che poi sarà luogo di tutti i concerti principali dell'evento.  Dietro il palco una vista spettacolare del mare e di Vasto Marina. Lo striscione azzurro del Siren Fest sventola alto, il clima è rilassato anche se si percepisce l'attesa per queste due giornate piene di eventi, ci sono persone di quasi tutte le età che stanno aspettando una dose di buona musica che non tarda ad arrivare.
 
Sale sul palco Gazelle Twin. Gran parte delle persone raggiungono il sottopalco, finalmente si comincia. Le basi trip pop, la voce calda della cantante, le note spettrali e l'elettronica inglese si mescolano tutte per creare un'atmosfera onirica e cupa al tempo stesso. In tutto questo aggiungo che la cantante ha un'inquietante calza di nylon sul viso, una voce eterea e capelli lunghissimi che escono dal cappuccio che indossa. Vedere e sentir cantare Gazelle Twin è come essere accolti in un luogo mistico, intimo, che poi si rivelerà essere lo stesso festival.
 
Infatti in quel momento non mi ero ancora resa conto di cosa avevo davanti, di che grande occasione sia passare due giorni in un concerto continuo, con band e cantanti del livello che capirete tra poco. Non sapevo che quelle piccole vie, quegli stand, quel programma, quei palchi sarebbero diventati un luogo familiare che mi avrebbe offerto un microcosmo di emozioni.
 
Iniziamo facendo un giro perlustrativo, lasciandoci alle spalle Gazelle Twin per dirigerci lungo il belvedere di Vasto, dove a porta San Pietro troviamo gli WoW, un gruppo italiano che per me rappresentano una bella sorpresa. In un mondo musicale che si affaccia su un'era post-atomica e post-democratica in cui il noise sembra essere l'unica possibilità sensata rimasta, gli WoW sono l'emblema di una piacevole scommessa. Infatti mentre la band ci inonda di suoni sporchi e ruvidi, creando un lo-fi sofisticato, la cantante China ha una voce sorprendentemente ambivalente, cristallina e torbida, che recupera il bel canto italiano, quello del rock d'amore tipico degli anni Sessanta. Riescono a riproporre nel timbro la dolcezza ironica di Mina, il romanticismo a tratti affranto di Mogol e Battisti, con sonorità psichedeliche e industriali, creando così un pop rock decadente e maledetto davvero d'effetto.
 
Il primo giro perlustrativo dura poco, come perdersi i Sun Kil Moon? Sono le 20.35 e uno degli autori di culto dell'indie rock made in USA mi sta aspettando nel cortile D'Avalos.  Dicono sia poco loquace Mark Kozelek, che arriva in full band dopo il successo di Benji, l'ultimo album acclamato dalla critica come il migliore della sua carriera. Scelto da Sorrentino per un brano della colonna sonora di The Youth, non è un nome nuovo nel mondo del cinema Mark Kozelek, già autore di colonne sonore, ha alle spalle anche alcuni cameo. Definito uno dei più grandi musicisti degli anni 90, con i suoi Red House Painters ha dato voce a un folk-rock oscuro e minimale, disperato, rassegnato, ridotto quasi all'immobilità. Questa sera al Vasto lo troviamo con i Sun Kil Moon che ha poi fondato nel 2002 come continuazione del progetto Red House Painters. Un modo di cantare cupo e intimo, ai passaggi bucolici si alternano momenti di aulici arpeggi e tamburelli. I testi rivelano le confessioni oneste e dettagliate sulla storia dell'artista e sulla caducità della vita. All'inizio crea un'atmosfera raccolta nel silenzio, la musica è di alto livello. Inserisce un omaggio a Nick Cave con la cover The Weeping Song, il figlio di Cave è morto in un incidente la scorsa settimana, il momento è toccante. Conclude con messaggi d'amore universale per tutti, pubblico e musicisti.
 
Usciti dal cortile attraverso un enorme portone ci affrettiamo a prendere qualcosa da mangiare nei vari stand enogastronomici di fronte al Palazzo D'Avalos, e la gran bella scoperta è stata che vendessero frittura di pesce e arrosticini, prodotti tipici del luogo e davvero ottimi. Quattro chiacchiere e un fish and chips mentre, seduti su uno scalino, attendiamo con ansia le punte di diamante della serata, i Verdena e Jon Hopkins. Nell'attesa facciamo una passeggiata a Porta San Pietro dove stanno cantando i Mamavegas, un gruppo romano che si è fatto strada nel panorama indipendente italiano, diventando ormai una realtà. I Mamavegas funzionano perché sono sperimentali, attraversano ed esplorano diversi generi musicali, dall'indie rock al folk e arrivano ad un genere tutto loro, un post-rock che si fa strada tra suoni puliti del nord Europa, rievocando un pò i Sigur Ros, e incandescenze acustiche del Mediterraneo, con suoni caldi e passionali.
 
Sulla via che va da Porta San Pietro e Piazza del Popolo noto che, tra alcuni stand che vendono birre o magliette del festival e dei cantanti, ci sono dei disegnatori molto bravi, tra cui Alessandro Baronciani, che con Colapesce ha poco prima presentato la graphic novel La Distanza. I disegni sono davvero belli, veder disegnare dal vivo è sempre affascinante e poi vengono rilegati in custodie per vinili, che mi sembra un'idea originale.
 
Eccoci qui, Piazza del Popolo, un grande palco, luci pazzesche che creano forme sui palazzi di fronte, un impianto sonoro potentissimo, pronti, via. Salgono i Verdena sul palco e le urla e gli applausi dei fan si sprecano. Endkadenz Vol.1 è la prima delle due parti che compongono il nuovo lavoro dei Verdena, uscito a Gennaio 2015. Naturalmente la scaletta comprende soprattutto brani del nuovo disco, come ad esempio Loniterp, Scegli me, Un pò esageri e l'ultimo meritevole estratto da questo volume, Contro la Ragione, un brano elegante e circolare che richiama un pò gli anni 70, un pò il lounge, che diventa psichedelico grazie a pianoforte e batteria. Inseriscono anche molte canzoni passate come Il Gulliver, Don Callisto, Valvonauta. I Verdena sono un intreccio di elettronica, acustica, sovrapposizioni e rarefazioni di suoni, creando quei vuoti che si possono percepire così bene solo live. I sussurri e le grida, i bassi e gli acuti incendiano il pubblico ad ogni brano, tra le prime file iniziano a pogare. Ci danno dentro i Verdena, li trovo più maturi musicalmente e più consapevoli del grande seguito sicuramente, ma in fondo sono sempre Alberto, Luca e Roberta e per confermarlo aggiungono Trovami un modo semplice per uscirne e poi, l'immancabile, Muori Delay. Applausi.
 
In un'intervista di qualche giorno fa ho letto che questo festival ai Verdena è piaciuto e parecchio, dato riscontrato anche personalmente, visto che la sera del giorno dopo il loro concerto gli ho incrociati che chiacchieravano in attesa di ascoltare qualche concerto. Il bello del festival è anche questo, i cantanti restano ad ascoltare le altre band e addirittura tornano il giorno dopo. E' possibile ascoltare i The Pastels seduti affianco alle Pins, chiacchierare col batterista di James Blake durante il dj set appena dopo il live, farsi una foto con Luca Ferrari dei Verdena appena prima del concerto di Colapesce.
 
Finiti i Verdena attendiamo Jon Hopkins, che purtroppo è arrivato tardi col volo dall'Inghilterra, ma eravamo pronti ad aspettare perché già stati avvisati in biglietteria. Ormai è finito il tempo in cui era un “best kept secret” per addetti ai lavori, Hopkins oggi eccelle nel panorama della musica elettronica merito anche e soprattutto dei suoi live set, diventati i più ricercati e attesi a livello mondiale. Il suo approccio è quello del musicista che interagisce con le macchine continuamente, non si accontenta di controllare semplicemente che stia andando tutto bene, ma rischia e sperimenta, inseguendo le emozioni del pubblico che ha di fronte. Per tutti finisce l'attesa intorno alle 2, quando sale sul palco sorridente. La sua musica integra il pianoforte, studiato da bambino, ai sintetizzatori, creando così un'evoluzione esplosiva del dubstep e incorporando la techno più cupa e minimale. Tra le prime file c'è molto coinvolgimento, è impossibile non ballare, siamo tutti completamente nelle sue mani sfidati dal sound straordinario.
 
Tra le note finali e i saluti di Hopkins finisce, per me, la prima giornata del Siren Festival, impaziente di risvegliarmi il giorno dopo per assistere all'attesissimo live di James Blake.
 
 
Benedetta Terenzio
 

  
Per la recensione del secondo giorno cliccate qui.
 
La gallery del primo giorno la trovate
qui.
 
 
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