INTERVISTA A MINNIE MINOPRIO

INTERVISTA A MINNIE MINOPRIO

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"secondo i 'burratinai' il Jazz non è una cosa che interessa il grosso pubblico e siccome qui si va soltanto a solleticare il finto, così, più becero, non c'è spazio per niente che abbia un qualcosa, un significato un po' più culturale."
1. Minnie, questa è una frase di Marcello Rosa, un grande del jazz italiano e non solo, con il quale tu hai collaborato. Alla luce della tua esperienza anche in ambiti diversi dal jazz, pensi che ciò sia vero? Chi sono i “burattinai”?
I “burattinai” a cui si riferisce Marcello Rosa sono certamente coloro che hanno in mano il potere della divulgazione musicale in Italia, i dirigenti della televisione, i manager dei concerti e talvolta i giornalisti facilmente condizionati da amicizie personali in mancanza di una vera e profonda conoscenza in materia jazzistica. Purtroppo le superficialità delle scelte di costoro sono frutto della carente educazione musicale in generale, ( “non ci capisco niente”!) della sovrapposizione di una cultura europea diversa da quella che fu la base storica del jazz, (“non è roba nostra”!) e la convinzione diffusa che “il popolo” o “l'ascoltatore medio” non lo gradisce (“ mandiamolo alle due di notte”!) Tutto questo condito con una buona dose di paura dei tabulati audience che, peraltro, non hanno mai avuto la possibilità di esprimersi sull'argomento.
2. Il tuo approccio al jazz avvenne nel 1966, anno in cui è nato un sodalizio con alcuni jazzisti romani. Come è nata la tua passione per il jazz e come è nato questo sodalizio?
La mia giovinezza è stata accompagnata da una colonna sonora di jazz che negli anni '50 era parte del quotidiano, le orchestre swing e la musica di Mulligan erano ascoltate ovunque ed era di moda andare nei jazz club della mia Londra ad ascoltare Chris Barber o Humphry Littleton. La musica di “skiffle” di Lonnie Donegan, e cantanti come Cleo Lane, Peggy Lee, Ella Fitzgerald e Nat King Cole toccarono i vertici della Hit Parade, quindi nel 59' incontrando Walter Chiari e Lelio Luttazzi per una audizione era naturale che cantassi “ Lullaby of Birdland” e “The bull walked around” di Stan Kenton. In seguito arrivata in Italia, conobbi Carletto Loffredo che mi introdusse nel cerchio dei jazzisti romani e mi fece lavorare in televisione.
A proposito di Walter Chiari e di Lelio Luttazzi, un tuo particolare ricordo...
Walter Chiari mi scritturò per la sua rivista “Io e la Margherita” ed era una persona ed un artista straordinario. Generosissimo, trattava chiunque lo avvicinasse per stringergli la mano come se fosse l'amico più caro ed era adorato da milioni di ammiratori. Non conosceva il jazz ma amava lo swing di Sinatra e Mel Tormè. Una sera a Napoli, dopo il teatro, raccolse per strada una decina di senza tetto e li portò tutti a cena. E tragico pensare che sia morto da solo nella stanza di un motel. Lelio Luttazzi, suo amico e musicista di fiducia, era più riservato ma insistette per scrivermi due canzoni ed uno 'scat' per la commedia che non erano stati previsti dal copione mostrando simpatia e stima nei miei confronti, anche se allora avevo solo diciassette anni.
3. Poi, negli anni '70 il tuo grande successo televisivo... In quel periodo ti allontanasti dal jazz?
Adottata dalla TV di stato che mise in luce soprattutto ( per non dire soltanto) il mio aspetto fisico, ho ottenuto una incredibile popolarità talmente piena di impegni che non fu possibile conciliare l'immagine televisiva con un discorso musicale ben definito come quello del jazz, figuriamoci, ero famosa come gattina miagolante, la regina del sexy-sospiro...... nessuno mi avrebbe presa sul serio cantando “Willow weep for me”! o “ Shipwreck blues”!
4. Hai utilizzato lo pseudonimo di Magnolia Lee. Perché?
Mi affascinava la musica nera, mia nonna era di Charleston, South Carolina e la immaginavo in una meravigliosa casa del sud circondata di magnolie e campi di cotone. A volte, alla radio, quando facevamo concertini mi immergevo in quell'atmosfera sognata per cantare la musica di Bessie Smith o di Ma Rainey, e diventavo anch'io una di loro...Magnolia Lee.
5. Sei ritenuta la più autentica interprete del jazz tradizionale ed a questo dedichi tutte le tue attenzioni artistiche. Dove finisce, per così dire, il jazz tradizionale? E cosa pensi del jazz “non tradizionale”? Come lo definiresti?
Per me il Jazz è la liberazione di sensazioni e sentimenti personali attraverso la creatività momentanea. Tutto ciò che è pre-ordinato, già scritto, eseguito ad unisono con altri non è jazz.
Per questo motivo prediligo e ritengo esaltanti i musicisti tradizionali, che pur senza tecnica sopraffina offrono all'ascolto molto di più delle semplici note, qualcosa di fisico e prezioso, gli altri sono bravi esecutori ma si limitano a distinguersi per una interpretazione più o meno riuscita..
6. Cosa pensi dell'attuale scenario musicale (non solo jazzistico)?
La globalizzazione musicale permette di scoprire molte nuove strade per interagire con culture diverse con risultati interessanti.. artisti come Paul Simon e Peter Gabriel avevano incominciato anni fa a creare un ponte fra musica leggera e la cultura africana ed ora si arricchisce con quella dell'Est ed oltre. Lo scenario è promettente per tutti, basta scremare il meglio, oggi la parola “Jazz” ha perso il suo significato in questo grande mare, bisognerebbe inventare un nuovo nome e lasciare che quel termine riguardi soltanto la musica del '900.
7. Nel 2005 sei interprete nel film di Franco Nero “Forever Blues”...
Franco Nero mi ascoltava spesso al New Orleans Cafe, e mi invitò a partecipare alla realizzazione del suo film. Il ruolo della proprietaria di un jazz club mi piacque così tanto che una volta rientrata a Roma acquistai un locale e feci il mio “Cotton Club”. Oramai il locale è al terzo anno di concerti e mi ha permesso di conoscere moltissimi artisti giovani con nuove idee, oltre ad avere un punto di riferimento per il jazz tradizionale.
8. E nel 2007 incidi un album con Jason Marsalis. Come nasce questo progetto?
Il cd con Jason Marsalis non è stato un 'progetto' ma un 'happening'! Jason era di passaggio a Roma con il mio amico batterista Andrea Roventini, mi chiesero ospitalità per un paio di notti e decidemmo di registrare un po' di musica di pomeriggio nella nostra sala d'incisione. Chiamammo Antonello Vannucchi e Renato Gattone e con una montagna di pizzette e panini andammo avanti senza un copione per tutta la notte! Un vero Live! Nell' ascoltare il materiale ci accorgemmo che valeva la pena arricchire il tutto con un fiato e invitammo Michael Rosen a fare una sovrapposizione libera su i brani che preferiva. I pezzi cantati erano pochi per la realizzazione di un cd, perciò cantai in s.p. su due brani strumentali, Flamingo e September in the rain, nonostante fossero in tonalità maschile.
9. Hai calcato le scene più importanti della nostra nazione come attrice e soubrette. Nel corso degli anni, quanto è cambiato il gusto del pubblico? Quali differenze noti?
L'offerta è maggiore oggi, e quindi le scelte si disperdono, mentre ai miei tempi d'oro e cioè gli anni '70 e '80 eravamo pochi eletti e godevamo di un tifo da stadio. Oggi c'è l'uso e getta, e una crescente indifferenza verso gli artisti a favore dei personaggi del gossip, dello sport e dei rotocalchi.
10. Hai mai pensato di comporre un brano ?
Ho composto diversi brani di musica leggera raccolti in un C.D. dal titolo “My Twilight Songs” 2003, ed ho collaborato alla colonna sonora del musical “Sabrina” sono iscritta anche come paroliera alla SIAE dal 1980. Ho scritto numerosi programmi per la radio, copioni vari e due romanzi, “Il passaggio” (1992) e “Benvenuti a Bordo” (2007)
11. Musica leggera, operetta, disco-music, jazz. Tutti generi che hai “vissuto”professionalmente e che hai ben interpretato. Quali differenze hai trovato nell'eseguirli?
Ho avuto un approccio del tutto professionale con ogni genere dello spettacolo dato che da piccola avevo studiato per fare parte di quel mondo. Il Jazz, invece, è l'unico aspetto artistico che mi è cresciuto spontaneamente e che mi permette di esprimere, senza imposizioni di sorta ciò che provo.
12. Secondo te si può parlare di “star system” anche nel jazz? Molti jazzisti, oramai, transitano con una certa frequenza in tv...
La diffusa “ non conoscenza” del jazz dà vita ad un certo tipo di “name dropping” e cioè, negli uffici e nei salotti durante una conversazione, per non sembrare ignoranti, si lascia cadere qualche nome letto a caso sul giornale...e questo nome passa di bocca in bocca fino a trovare un posto fra le “star” senza averne merito. Comunque è sempre gratificante che musicisti Jazz appaiano in tv, un piccolo passo per essere accettati come una realtà attuale e per smitizzare la leggenda metropolitana che il jazz è soltanto per gli acculturati e comunque mai divertente.
13. Delle tue collaborazioni, non solo in ambito jazzistico, quali ricordi con maggiore piacere? E perché?
Qualche volta sono entrata involontariamente in rotta di collisione con i miei collaboratori e partners a causa della mia eccessiva energia che metteva a disagio chiunque mi stava vicina, ho preferito lavorare sempre da sola, in prima linea. Ho avuto molte soddisfazioni, e qualche cicatrice. Ho pagato sempre di persona gli errori e ho potuto gioire nel vedere gli sforzi ripagati, magari anche dopo anni di attesa. Il momento più esaltante? Quando al Galà del Gran Premio di Montecarlo, sola al centro del palcoscenico, schioccando le dita feci arrivare sul tapis roulant un enorme pianoforte bianco e cantai “ I know I'll never love this way again “ ad una platea blasonata. Roba da veri divi!!
14. Con chi vorresti collaborare?
Sarebbe un sogno per me incidere con B.B. King, dico incidere perche potrei risentire e rivivere quel momento un milione di volte, lui possiede la carnalità, l'essenza del blues insieme all' ironia e gioiosità che è parte integrale anche del mio modo di vedere la vita.
15. Quale è la tua formazione ideale?
La mia formazione ideale è quella del disco che ho realizzato l'anno scorso ed è prossimo ad uscire, un “Dream Team” formato, grazie agli sforzi economici ed organizzativi di mio marito Carlo Mezzano da una big band con Tullio de Piscopo e Mike Mainieri, Eddie Daniels, Mike Stern, Slide Hampton, Fabrizio Bosso, Bob Mintzer, Antonio Faraò, Randy Brecker, Ayrto Moreira, ed in sezione i migliori strumentisti italiani ed americani con arrangiamenti di Lino Quagliero e Gerardo Di Lella. Il titolo è “Why stop now”! (perché da grandi si canta meglio!)
16. La tua vocalist di riferimento...
La voce e passionalità di Mahalia Jackson mi colpirono da ragazza come una tegola in testa, ma è importante non lasciarsi influenzare dai propri idoli. Ogni artista degna di questo nome ci insegna qualcosa, che si chiami Ella Fitzgerald, Annie Lennox oppure Amy Winehouse. Poi, bisogna guardare dentro noi stessi per trovare qualcosa da mettere sul piatto.
17. Hai mai pensato di scrivere un autobiografia?
No, ma mi piacerebbe condividere le mie esperienze di vita scrivendo storie di teatranti anonimi e imbottendo questi racconti con episodi farseschi realmente accaduti .
Probabilmente lo farò!
18. Tre dischi che porteresti su di un'isola deserta...
Solo tre?!! Impossibile .......”Move on up a little Higher” di Mahalia Jackson, “Chickens” di Louis Prima cantato da BB King'' “Royal Garden Blues” Louis Armstrong e cento altri!!
19. Cosa è scritto nell'agenda di Minnie Minoprio?
Nella mia agenda, nuovi incontri, tanta musica, e la consapevolezza, dopo tanto girovagare, di essere arrivata finalmente a destinazione.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
www.jazzitalia.net
aayroldi@jazzitalia.net

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Minnie Minoprio con Lino Patruno
Fonte:

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